lunedì 13 luglio 2009

OGGI e DOMANI SCIOPERO



"Adesione all'appello di Diritto alla Rete contro il DDl alfano che imbavaglia la Internet italiana".

domenica 26 aprile 2009

lunedì 2 marzo 2009

Lume a Marzo 2009

Sabato pomeriggio, ultimo giorno di Febbraio... cammino nella campagna e sull'appennino faentino guidato dalla bellissima giornata che ha già il sapore della primavera...
Sui fianchi delle colline ancora prima del crepuscolo si accendono i primi falò, nella valle del Marzeno e del Samoggia, lungo la "Pietramora".
Sono i fuochi di "Lom a Merz", ovvero lume a Marzo, il rituale contadino che ancora viene tramandato per bruciare le potature dell'inverno e propiziare così l'arrivo della primavera.
Ieri ci abbiamo provato anche noi, nonostante piovesse. Falò, musica, salsiccia sulle braci, e speriamo che la stagione vada come deve andare!


Falò e vin brulè.


Campagna di Faenza, 28 Febbraio 2009


Quasi crepuscolo. Pietramora (Faenza)


Lume a Marzo con i Radìs...


Alimentando il fuoco (e alimentandoci con il vin Brulè)

lunedì 16 febbraio 2009

Palestina, Tibet, occupazioni e resistenze...

Ieri pomeriggio abbiamo assistito alla proiezione di un filmato girato nella striscia di Gaza da volontari che si trovano là soprattutto per aiutare i bambini, che sono sempre le prime vittime di tutte le guerre.
I pensieri che nascono (o ri-nascono, perchè si tratta sempre di immagini che abbiamo già visto e poi tendiamo a rimuovere... a far finta di niente) sono tanti. Penso alla guerra, penso ai miei nonni e i miei genitori che l'hanno vissuta sulla pelle. A quanto sono fortunato a non esserci capitato in mezzo. Penso a tutte le vittime innocenti, ai profughi senza una casa, alle aule mezze vuote, perchè tanti bambini non ci sono più. E' già un miracolo che ci sia ancora la scuola.
L'operatore ha chiesto a una bambina: "cosa vorresti sapere dell'italia? cosa vuoi chiedere a chi guarderà queste immagini?"
Lei ha chiesto: "ma è vero che i bambini italiani quando mangiano e quando dormono non sentono gli spari?"
E' agghiacciante tutto questo! che la normalità di questo popolo sia l'indigenza e l'umiliazione.
Si, perchè la loro identità sta per essere cancellata! La parola "palestinese" nella lingua israeliana non esiste più! I palestinesi non esistono. Non c'è un modo per definirli. Si chiamano "arabi israeliani".
I coloni di israele boicottano i raccolti e gli allevamenti, bruciando il grano ed avvelenando le bestie. Quale futuro c'è per queste persone? C'è un futuro?
Le interviste ci mostrano ragazzi che dichiarano di volersi unire ad hamas e alla resistenza. Nessuno li aiuta e loro sono stanchi dell'occupazione. Sono terroristi, o sono forse partigiani?
Quante analogie con la nostra Resistenza! Quella a cui nessuno della mia generazione ha partecipato, ma grazie alla quale siamo nati LIBERI anzichè schiavi....
Tibet, Palestina, Africa, e quanti altri posti ancora... popoli a cui vengono "offerte" ben due alternative, se sono fortunati: la resa (l'occidentalizzazione) o l'estinzione, la pulizia etnica. I palestinesi non hanno nemmeno questa scelta, essi "non sono" già più, secondo israele.

venerdì 13 febbraio 2009

Febbraio eccitante e febbricitante

In questo mese dal tempo incerto l'unica cosa che non ho avuto il tempo di fare è... respirare.
Le registrazioni del "demo" dei Radìs sono a buon punto e quelle della mia "prima vendemmia" anche, e direi che anche il primo bilancio dell'operazione "parole resistenti" è positivo... tutto ciò a discapito delle mie ore di sonno... ma a questo penseremo in Marzo.
Sono giorni strani, in bilico tra l'inverno e i primi accenni di primavera, in più "LOM A MERZ" si sta avvicinando e non vedo l'ora di trovarmi a suonare la piva davanti ai falò!

mercoledì 28 gennaio 2009

parole resistenti

Stiamo raccogliendo testimonianze, racconti, storie, aneddoti sulla Resistenza Romagna.

In questo momento in cui i valori fondanti della nostra Costituzione sono messi a dura prova, in cui ci si dimentica (o nemmeno SI SA!) che la libertà ci è stata data da persone che hanno scelto di dare LA VITA per il nostro futuro, vorremmo dare nel nostro piccolo un contributo, aiutando chi non sa a sapere...
a partire dalla nostra regione, e a partire possibilmente da cose che non siano già sui libri di storia, ma nella memoria della gente come noi, prima che vadano perse per sempre.

Quindi se hai qualche storia raccontata dai nonni, o da figli o nipoti di persone che hanno vissuto da protagonisti o da spettatori la lotta di liberazione, specialmente in zone Ravenna, Ferrara, Forlì, Cesena, Faenza... mettiti in contatto con noi a questo indirizzo:

parole.resistenti@gmail.com

lunedì 29 dicembre 2008

fifty people one question

video di Luca Sartoni

stiamo scoprendo il sapore dell'acqua privata

Mentre nel paese imperversano discussioni sul grembiulino a scuola, sul guinzaglio al cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica. Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica. Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l'acqua minerale). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e i carabinieri per staccare i contatori. La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri.
L'acqua è sacra in ogni paese, cultura e fede del mondo. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita. L'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito
profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre. Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo.

FATE GIRARE: METTETENE A CONOSCENZA PIÙ GENTE CHE POTETE

come volevasi dimostrare.

11 Novembre 2008

Diaz, l´ultima immagine dello scandalo
ecco l´uomo che porta le molotov

In una ricostruzione della Bbc si vede un uomo che introduce nella scuola le bottiglie incendiarie
di Massimo Calandri
Eccola la fotografia-simbolo di quella notte maledetta . Inedita. Oscura. Inquietante. È stata estrapolata da un filmato girato da un operatore Rai e depositato dalle parti civili il mese scorso. Nel mosaico riportato qui a fianco, è il quadrato sulla destra in alto. Si riconoscono il cortile della scuola Diaz, le sagome dei funzionari di polizia che si allontanano dopo aver chiacchierato a lungo intorno al sacchetto azzurro con le due bottiglie incendiarie. Sullo sfondo le grandi finestre dell´istituto, le stanze illuminate. E a sinistra - piccolino, cerchiato di rosso - il profilo di un uomo sulla soglia dell´ingresso laterale. È di spalle, in borghese, indossa un casco protettivo. Nella mano sinistra stringe qualcosa. Sì. È il sacchetto azzurro delle molotov. Accanto riporta una didascalia in inglese, perché l´immagine fa parte di un´inchiesta giornalistica della Bbc di prossima pubblicazione: «Naples Digos Inspector entering Diaz Pertini». Si tratta cioè del fantomatico ispettore della Digos di Napoli che introduce materialmente nella scuola le molotov della vergogna, una della prove fasulle - la "regina" delle prove false - con cui la Polizia di Stato avrebbe voluto "giustificare" il massacro e le manette ai 93 no-global.

GUARDA Le immagini


Il documento è paradossalmente eccezionale. Perché da un lato rappresenta il punto di non ritorno della vicenda: ecco come le forze dell´ordine hanno truccato le carte, barato, mentito fin dalla prima ora di quella notte dannata. È tutto vero: fu un pestaggio cinico e bestiale, e i servitori dello Stato preferirono raddoppiare l´orrore - aggiungendo alla carneficina l´ingiustizia della prigione - piuttosto che ammettere le proprie responsabilità, il fallimento. Ma d´altro canto, quella spaventosa bugia è così chiara, solare, che persino alcuni avvocati della difesa nella loro recente arringa la davano per scontata. Alla Diaz abbiamo imbrogliato, embé?
La catena è stata definitivamente ricostruita nel corso di quasi quattro anni di dibattimento e centocinquanta udienze.

L´agente Michele Burgio prende le due molotov - che erano state sequestrate nel pomeriggio durante gli scontri di corso Italia dal vice-questore Pasquale Guaglione, e da lui affidate a Valerio Donnini, padre degli specialissimi nuclei anti-sommossa e capo di Burgio - e nel cortile della scuola le consegna al vice-questore Pietro Troiani. Il funzionario le mostra al collega Massimiliano Di Bernardini. Poi entra in ballo Gilberto Caldarozzi, l´uomo che qualche anno dopo avrebbe partecipato alla cattura di Bernardo Provenzano. Qualche minuto più tardi, il sacchetto azzurro delle molotov è impugnato da Giovanni Luperi e mostrato agli altri super-poliziotti che gli si fanno intorno. E questa, di immagine, la conosciamo bene. Quello che succede dopo ce l´hanno raccontato gli stessi protagonisti in negativo del blitz. Luperi, attuale direttore dell´ex Sisde, ricorda di aver chiamato una funzionaria che stava all´esterno della scuola. Perché mai? Per affidarle il reperto, che pure in quel momento - visti gli sviluppi successivi - aveva una straordinaria importanza investigativa. Bene: Luperi chiama Daniela Mengoni e le dice di avere cura delle molotov. E la Mengoni che fa? A sua volta chiama un sottufficiale. «Credo fosse un ispettore della Digos di Napoli».

Credo, dice. Non ne conosce il nome, non è in grado di riconoscerlo. Nessuno degli ispettori Digos napoletani, rintracciati anni dopo dai magistrati, corrisponde a quello indicato dalla donna. E dunque, con lui e il sacchetto si avvicina all´entrata secondaria della scuola Diaz. Chissà perché. Si avvicina, e gli affida la prova «regina». Le molotov, che il nostro codice equipara ad armi da guerra. La prova intorno alla quale avrebbero poi giustificato l´intera operazione. «Tienile un momento, che devo fare una cosa». Lo molla lì. Quando torna, le bottiglie incendiarie saranno allineate sul lenzuolo che ospiterà il resto dell´"arsenale" sequestrato ai fantomatici Black Bloc della Diaz: i coltellini multiuso, le sottile anime in alluminio degli zaini fatte passare per spranghe, gli assorbenti femminili, la biografia del reverendo Jesse Jackson fatta passare per materiale "eversivo". E i picconi, le mazze rubate da un vicino cantiere.

DA REPUBBLICA 12-11-2008

dalla fine del mondo

dalla fine del mondo

galway

Ho sognato che il vento dell'ovest mi prendeva leggero per mano,
mi posava alla fine del mondo tra isole e terre lontane.
Camminavo al tuo fianco sul molo, guardavamo le barche passare,
mi cantavi una musica dolce, più dolce del canto del mare.

L'orchestra suonava 'The blackbird' nel bar sulla strada del porto,
i pescatori gridavano forte fra il vino, la birra e le carte.
Raccontavi le storie di viaggi, di strade, di amici caduti,
di amori incontrati lontano e di amori che il tempo ha perduto.

E i giorni correvano e il tempo nel sogno volava,
stringevo la donna delle isole, ballavamo leggeri nell'aria.
E i giorni passavano e l'oceano li stava a cullare
e il vento alla fine del mondo portava un canto del mare.

Seduti fra pietre e brughiere guardavamo i gabbiani volare
Raccontavi la storia del bimbo che un giorno scappò con le fate
Ma il vento dell'ovest chamava ed il cielo d'Irlanda svaniva,
mi svegliai in una stanza deserta ubriaco mentre il sogno finiva.

E i giorni che passano sono lunghi e coperti di nero
mi trascino perduto nei vicoli a maledire una terra straniera
E i giorni son secoli aspettando di poter tornare
di nuovo la fine del mondo cullato dal canto del mare

(M.C.R. "canzone dalla fine del mondo")

mi vergogno sempre più del mio paese.

30 Ottobre 2008

Un camion carico di spranghe
e in piazza Navona è stato il caos

La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti
di CURZIO MALTESE


Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos

Gli scontri di ieri a Roma

AVEVA l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. "Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane" sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi.

Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove.

Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano "Duce, duce". "La scuola è bonificata". Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. "Basta, basta, andiamo dalla polizia!" dicono le professoresse.

Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l'educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C'è un'insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".

Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: "Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra". Monica, studentessa di Roma Tre: "Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?". "Lo vede come rispondono?" mi dice Laura, di Economia. "Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra". La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: "Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto".

Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. "È contento, eh?" gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: "Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì".

È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. "Lei dove va?". Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: "Non li abbiamo notati".

Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: "Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!". L'altro risponde: "Allora si va in piazza a proteggere i nostri?". "Sì, ma non subito". Passa il vice questore: "Poche chiacchiere, giù le visiere!". Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra.

Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae.

A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. "Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo".

cammino

Dopo tanti bicchieri alzati insieme, dopo tanti chilometri macinati, dopo anni di serate a tirar tardi a ridere di cose che fanno ridere solo noi, direi che è giunto il momento di ringraziare pubblicamente un po' di gente. Non esistono amici di serie A e di serie B. Esistono le persone a cui vuoi bene, i compagni di strada. E qualcuno di questi ha percorso con me un tratto di strada molto accidentata…

Lo sappiamo tutti, si fa fatica a risalire. A recuperare ciò che si è perduto. Si fa fatica credo soprattutto ad accettare che qualcosa che era parte della tua normale condizione di essere quotidiano, a un certo punto non c'è più. Che la tua normalità quotidiana è diventata un'altra, e non ti piace, a tal punto che in certi momenti non vorresti più essere.

Il buio era ovunque. Apri la finestra, sorge il sole ed entra il buio. Accendi una lampadina ma rimane il buio. Tutti ridono, e a te viene da chiederti quando mai tornerai a ridere.

Più o meno è andata così: il basso elettrico se ne stava in un angolo a prendere la polvere. Mi guardava e mi compativa. Poi con Alan abbiamo iniziato quest’avventura che abbiamo chiamato “Rumori Molesti”. La musica è stata il gancio di traino, tutto il resto è venuto dopo. I Clash non hanno mai smesso di suonare dal mio stereo… la ricetta di punk e reggae in parti uguali è la sintesi della voglia di urlare tutta la rabbia che hai dentro, stemperata dalle “buone vibrazioni”. Il reggae fa dondolare dolcemente i pensieri, che smettono così di urtarsi dentro la tua testa. Avevo i capelli a istrice, prima, spigolosi e ispidi. Incazzati. Da allora però non ho mai smesso di tagliarli quasi a zero. Ci si stanca di essere incazzati! A un certo punto vuoi solo la pace. Vuoi solo vedere la luce, vuoi solo che quel raggio di sole ti scaldi, come un tempo.

E l’importanza della “gente”! di tutte quelle persone che tu non conosci, ma incontrarle ti cambierà la vita… O di quelle che avevi già intorno e mai avresti pensato che ti avrebbero salvato. Si capisce ancora di più l’intensità della musica popolare. Dei suoni che nati tra la gente, e che tra la gente vogliono ritornare. Dell’importanza di ognuno di noi. C’è chi sostiente che nessuno è indispensabile, ma non è vero.

E così Alan ha preso in mano la chitarra elettrica e abbiamo suonato insieme canzoni di redenzione. Probabilmente non riuscirò mai a dirgli quanto mi ha salvato questa cosa. Poi incontrammo Luca! E il suono cominciò a prendere forma. E il buio cominciò a poco a poco a schiarire. Saranno state tutte quelle serate che finivano all’alba? Forse uno di quei raggi di luce si è aperto una breccia.

Poi Kurry. Cosa dire? Non c’è bisogno di aggiungere niente, se non… quanto colore, quanti ricordi, quanta luce! E Cres. Che nonostante ormai mi conosca come le sue tasche, continua incautamente a darmi corda, e ad avere sempre le parole giuste, anche quelle non dette.

E poi Robytz, Uxmak, Nico… e il buio a poco a poco si dissolveva. E se a volte non si dissolveva, come in certe fredde e nebbiose sere di Novembre, c’era comunque questa strana piccola tribù colorata di amici, colori, canzoni, risate, luce, rumore, silezio, pace.

Mi spunta un gran sorriso ripensando a quei giorni. E anche una stretta allo stomaco, un attimo di nostalgia, perché se è vero che non ho più paura di QUEL buio, alcune strade si sono divise, forse è giusto che sia così.

Rimangono canzoni di redenzione. Da allora altre partenze, altri incontri, una nuova banda, nuove storie e vecchi amici, che come dicevo prima, non si dividono in serie A e serie B. Ma tutto questo nella mia vita, non ci sarebbe mai stato senza quella strana piccola variopinta famiglia. Senza che Alan prendesse in mano la chitarra, e tutto ciò che ne è seguìto.

Perché ho scritto queste cose adesso? Per dire a chi sta leggendo, che in certi casi si ritorna a ridere, e che lo auguro A TUTTI.

Dovunque andrete, dovunque andremo, buon cammino.

il comandante Diavolo

Il comandante Diavolo. Immagino che nessun uomo di questo governo si sentirebbe pulito ascoltandolo... e anche diversi uomini dell'opposizione. (quale opposizione, dirà giustamente qualcuno...)








Folletto Verde... sempre più immerso nella vigna!

solstizio a Newgrange

IMG_4523IMG_4531IMG_4554(scritto il 1 Febbraio 2008)

Non so se sia giusto cominciare a parlare qui di "paganesimo". Che poi è una parola a volte troppo inflazionata, associata a movimenti "new age" superficiali e ciarlatani... altre volte è una parola sottovalutata, associata a cose che si credono estinte. Ma non lo sono.
E' da tanto tempo che vorrei affrontare pubblicamente questo argomento... da qualche parte dovrò cominciare.
Cominciamo da me: se qualcuno mi chiede, "tu credi in dio?" io rispondo di no.
Ma se qualcuno mi chiede se sono religioso, o meglio, se vivo una mia spiritualità e credo in qualcosa, allora rispondo di sì.
Credo ci sia una bella differenza tra le due domande. Non credo nel dio dei cristiani, cattolici o protestanti, non credo in buddha, in allah. Di cosa penso della chiesa, e delle religioni come controllo della massa, penso lo si possa intuire, in ogni caso ne parlerò più in dettaglio un'altra volta.
Credo in cose che la chiesa ha cercato di reprimere in tutti modi, di cancellarle dai calendari "pagani" sovrascrivendole con feste cristiane (l'esempio più ecclatante è la festa di tutti i santi, o Halloween). Credo in cose per cui durante l'epoca dell'inquisizione si finiva sul rogo, cose bollate nell'arco dei "secoli bui" come stregoneria, adorazione del demonio, etc... cose che sono invece la più elementare e naturale delle forme in cui l'uomo conviglia i sentimenti di "ringraziamento" e adorazione verso il proprio microcosmo. Credo che esistano equilibri, e forze che li regolano e che noi non possiamo comprendere. Ma chi ha una certa sensibilità sa cosa fare o non fare per sconvolgere il meno possibile questi equilibri.
Io credo in ciò che tante popolazioni più sagge di quanto lo siamo noi ora chiamavano "la madre Terra". Credo che l'unica "divinità" sia l'ambiente, l'intreccio delle forze e dei cicli della natura che iniziano e terminano e ricominciano e così via, da quando l'uomo ne ha memoria.
Non ho "scelto" io una religione, non l'ho individuata in mezzo alle altre, ma mi sto rendendo conto sempre più che questa "madre Terra" è ciò che io rispetto e che vorrei che gli altri rispettassero. Ciò che io sento all'origine della vita, che ci può schiacciare o spazzare via in un attimo (per esempio con uno tsunami...) se il nostro non-rispetto si spinge fino ad un punto di non-ritorno.
Mi sono accorto di tutto ciò poco alla volta, per esempio dal fatto che non riesco (proprio NON RIESCO) a gettare per terra la carta di una caramella. Magari accumulo una pallina di 50 cartine in tasca ma aspetto comunque il primo bidone per strada... Dal fatto che non mi viene mai da pensare, "non lo faccio nemmeno io, tanto non lo fa nessuno e non cambia niente"...
E io credo che tra i misteriosi rituali dei druidi che cercavano di ingraziarsi la fecondità del terreno, e questo sentimeno di "rispetto" verso il pianeta, non ci sia poi così tanta distanza...
Oppure, chi cerca oggi rimedi "omeopatici" e comunque più naturali possibili, anzichè ingurgitare decine di pillole al primo mal di testa, sicuramente continua una "tradizione" di conoscenze popolari che secoli addietro caratterizzavano le "streghe" e gli "stregoni" che furono sterminati dalla chiesa.
Ma a proposito di rituali. L'estate scorsa durante il mio indimenticabile viaggio in Irlanda, sono stato nel luogo che più di tutti mi ha avvicinato a questa "spiritualità": si chiama Newgrange, o Bru-Na-Boinne, in gaelico. Qui c'e' un antico complesso di sepoltura abitato da più di 4000 anni, prima dagli uomini del neolitico, poi dai Celti. Si tratta di enormi tombe circolari costruite con pietra e terra, con corridoi al loro interno che conducono alle camere funebri. Tutti questi luoghi sono decorati con particolari simboli incisi nella pietra, che avevano sicuramente significati astronomici e religiosi. Da qui proviene per esempio la "spirale della vita", ed anche il triskell (la tripla spirale). Ma questi luoghi non sono solamente tombe: qui avvenivano complessi rituali legati alla vita, oltre che alla morte. Sappiamo così poco di questi rituali, ma non tutto è andato dimenticato... Per esempio, nella più grande di queste tombe, il giorno del solstizio d'inverno si radunavano probabilmente i "sacerdoti" (druidi, o in qualunque altro modo vogliamo chiamarli) per aspettare l'arrivo della nuova stagione. L'ingresso era infatti di norma sigillato, e comunque all'interno è buio pesto. Ma il lungo corridoio è rivolto in modo tale che all'alba del solstizio, per circa un quarto d'ora il primo raggio del sole nascente entra da una fessura sopra l'ingresso, illumina poco a poco tutto il corridoio fino a portare la luce dentro la camera funebre.
All'esterno del grande tumulo, che è al centro di un largo cerchio di pietre (i celebri "menhir") restavano probabilmente tutti gli abitanti del villaggio, in quanto la camera interna non è molto grande e comunque è noto che c'era una casta di persone che sovrintendevano ai culti sacri.
Ho avuto la fortuna di assistere ad una ricostruzione di questo spettacolare fenomeno (viene simulato il raggio di sole del solstizio) ed è una delle cose più emozionanti che ho vissuto.
Immaginarmi i druidi in silenzio all'interno del tumulo, in piedi nel punto esatto in cui mi trovavo io, mentre aspettavano l'alba, è stato qualcosa di veramente... "magico".
L'ipotesi più accreditata del significato di questo rituale è quella che ancora si narra nelle leggnde contadine degli abitanti di quei luoghi: cioè che alla fine dell'inverno si attendesse questo primo raggio di luce per essere certi che il freddo se ne sarebbe andato, ancora una volta. Forse avvenivano preghiere, forse sacrifici, o forse non c'era in realtà nessun mistico silenzio nella tomba, e magari si ubriacavano tutti con birra e idromiele... Questo non lo possiamo sapere. Sappiamo però che i Celti avevano una concezione circolare dello scorrere del tempo, e non lineare. Noi oggi contiamo gli anni in successione, per loro esisteva un'unica "ruota del tempo" che che girava ciclicamente. Il loro "capodanno" era anche il periodo della festa dei morti (halloween). In quei giorni "seppellivano" i semi sotto terra, come si seppelliscono i morti. E forse pregavano i morti affinchè il raccolto crescesse senza problemi e li sfamasse per un altro intero ciclo.
A Newgrange, all'alba del solstizio d'inverno, essi attendevano quindi un segnale dalla "madre Terra": attendevano la certezza che il rigore e la difficoltà di sopravvivenza invernali se ne sarebbero andati, lasciando il posto ai raccolti ed alla selvaggina. Cicli che si ripetono, insomma, di cui però essi non erano certi. Ecco anche, secondo me, una possibile spiegazione delle spirali, dei triskell ed altri simboli incisi a Newgrange.
Forse, mi dico io, dovremmo imparare da tutto questo. Non dovremmo essere così sicuri che ogni volta il ciclo ripartirà. Anche se la sopravvivenza è certamente più facile rispetto a 4000 anni fa, l'ecosistema è però più debole, più instabile, per colpa nostra soprattutto. Quindi, credo che dovremmo fare molta attenzione ed essere anche noi certi che quel "raggio di luce" continui ad illuminarci, stagione per stagione.

Un saluto a Bulow

(scritto il 25 Gennaio 2008)
Ieri sono andato a salutare "Bulow". A lasciare un pensiero e una firma. L'aria era umida di commozione... e che disgusto, all'uscita dalla camera ardente, quando ho visto le locandine delle edicole... La maggior parte diceva: "Ravenna piange la scomparsa di Boldrini". O cose simili. la solita "voce di romagna" annunciava invece un'inchiesta sulle scomparse di persone mai più ritrovate, e l'attribuzione di questi crimini ai partigiani. (si suppone).
Ora, io non sono talmente indottrinato e chiuso verso la storia, da voler difendere a tutti i costi e in tutte le situazioni le azioni dei partigiani (che pure vanno di pari passo con la storia della mia famiglia). So benissimo che ci sono stati regolamenti di conti fatti senza pensarci troppo sopra, da tutte le parti. C'erano partigiani rossi e partigiani bianchi, c'erano bianchi diventati rossi e neri diventati bianchi, e con l'avvicinarsi alla fine della guerra, e nell'immediato dopoguerra, i processi sommari ci furono, e non lo si può negare.
La guerra non guarda in faccia a nessuno e noi, per fortuna, non ci possiamo nemmeno immaginare da lontano cosa vuol dire avere i tedeschi e le camice nere che occupano la tua casa, che portano via i tuoi fratelli, che ti derubano di quanto hai guadagnato con la tua fatica. La storia deve insegnarci ancora tantissimo.
A me pare troppo di cattivo gusto quella locandina insinuatoria, accanto a quella commemorativa. Ci sono libri e articoli sulle presunte o reali stragi partigiane, sui processi in piazza, ma perchè parlarne proprio il giorno dei funerali di Bulow? Se non vedevate l'ora di sparlare della Resistenza, non potevate farlo ieri, o l'altro ieri, o il giorno prima? Perchè aspettare proprio il giorno in cui il presidente dell'Anpi e padre della costituzione non può più ribattere?
(forse hanno paura di quello che avrebbe potuto rispondere?)
Un'azione perfettamente "normale" e democratica, come che la voce di romagna voglia screditare la resistenza, diventa così una vigliaccata: nel giorno in cui l'uomo che ha liberato Ravenna muore, gente che probabilmente non sa di dovere anche a lui la propria libertà ne approfitta per strumentalizzare l'evento in direzione contraria.
Non avete mica fatto una gran bella figura...

vecchia/sporca/Ravenna

(scritto il 17 Dicembre 2007)
Ravenna piena di tristi persone dallo sguardo basso e triste. Di quella tristezza arrabbiata, come se soltanto loro avessero diritto ad essere tristi. I borghesotti o finti borghesotti della mia età nascondono questo senso di smarrimento con l'arroganza, ostentano l'arrivismo del giovane rampante, frequentano i caffè alla moda e gli aperitivi da 50 euro a botta. Me li devo sorbire fin dalla mattina, questi simpatici individui. Ogni volta che qualcuno non si ferma a darmi la precedenza anche se ce l'ho, ogni volta che qualcuno attraversa sulle striscie pedonali senza nemmeno guardare, come se tu che stai guidando fossi un evento casuale che non merita la loro attenzione. Magari io mi fermo a lasciarli passare, mi sarei fermato comunque, ma questi nemmeno il cenno di un saluto, nemmeno un sorriso, mai un grazie. Come se tu fossi un microbo insignificante che non meriti la loro attenzione. Gli devi rispetto e non puoi pensare di pretenderlo da loro. Poi, gli stessi individui sono quelli che quando sono loro a guidare la macchina non si fermano a farti attraversare la strada quando tu sei a piedi. Nemmeno se gli spari.
Ricordo l'Irlanda... è passato solo qualche mese ma sembra lontanissima. Ricordo la cordialità degli irlandesi, la voglia di fare due chiacchiere con te quando ti siedi al bancone e magari è la prima volta che ti vedono. Gli estranei, soprattutto i più anziani, che quando ti incontrano a piedi per strada ti salutano. Le prime volte, abituato al rigido clima mentale dei ravennati, mi stupivo quasi. Ma non c'è niente di cui stupirsi: è come dovrebbe girare il mondo. Non gira così ovviamente.
Quasi sempre riesco ad ignorare questi atteggiamenti sprezzanti e inopportuni. A volte magari mi danno fastidio, ma poi passa subito, non ne vale mica la pena di prendersela. In fin dei conti è la loro vita ad essere triste e rabbiosa, non la mia.

natale tutto l'anno

(scritto il 17 Dicembre 2007)
Io credo che a natale non si è più buoni. Si è più ipocriti. Io credo che anche se non ce ne accorgiamo, o facciamo finta di non accorgercene, di poveretti e sfortunati ce ne sono ancora tanti, tantissimi, anche sui marciapiedi delle nostre strade piene di luci. E credo che queste persone, vedendo tutte queste luci scuotono la te
sta e pensano, "ma vaffanculo te il tuo natale. La vostra città ha così tanti soldi da spendere in illuminazione e non ha un piatto di pasta caldo in più per una persona che in questo momento non ha niente e non sa dove sbattere la testa?"
a natale siamo tutti più buoni o forse facciamo finta che il mondo sia diventato un'isola felice? diciamo la verità: quanti si sentono davvero scossi quando vedono al telegiornale le macerie di Bagdad, i senzatetto dopo le alluvioni in Asia, le stragi dei kamikaze che si fanno esplodere, le guerre civili dell'Africa? Io stasera ho visto per caso su "history" la storica cronaca in diretta della strage terroristica alla stazione di Bologna, di una ventina d'anni fa. C'era tutta questa gente disperata e pensavo: tutto questo continua ad accadere ogni giorno, in medioriente. La gente che brancola tra le macerie, gli ospedali pieni che devono rifiutare i feriti perchè non hanno più posto. Sono immagini forti, soprattutto quando al posto della voce del cronista ci sono in sottofondo e fuori campo le voci ed i lamenti di chi è lì presente, per davvero...
Questo dovremmo ricordarci, come minimo, per diventare più buoni. Non fare l'albero e mettere le lucine e i babbinatali che si arrampicano alle grondaie.

non ho mai stracciato un paio di blue jeans... [pensieri sconnessi sul punk, sulla povertà e sul consumismo]

(scritto il 9 Dicembre 2007)
Lo spunto mi è venuto mentre stavo leggendo "strada provinciale tre" di Simona Vinci... a un certo punto, questa ragazza che fugge in esilio da una vita ordinaria e di diete e di giorni meccanici e ripetitivi, si ritrova praticamente senza soldi alla cassa di un supermercato, a vegognarsi perchè non può pagare le due-tre cose che ha comprato. Si scopre a vergognarsi della propria povertà e a pensare ai mendicanti a cui di solito non si presta attenzione, quasi come non esistessero.

Mi è venuta in mente una cosa che mi disse mio babbo, all'epoca in cui suonavo in qualche gruppo punk. Era il momento della rivolta, a partire dall'estetica, che lo so, lo so, è una cosa inutile, ma allora si era ragazzini e si sa come vanno queste cose...
Quindi, mio babbo mi disse che non riusciva a capire questo tipo di ribellione, i jeans stracciati e l'aspetto trasandato, che quando aveva la mia età lui, la cosa più importante era riuscire ad uscire dalla miseria in cui ci si trovava, le classi "proletarie"... si cercava di arrivare a potersi vestire "bene", era quello il risultato, il senso della "ribellione". Ed ha ragione in pieno.
Il punk è molto ingenuo e stupido, a livello di "moda" intendo dire, di aspetto, come tante altre "controculture"... il suo messaggio più importante viene confuso dalle contraddizioni. E' vero, la vera ribellione è dimostrare a tutti che anche noi poveri proletari siamo riusciti con tanti sacrifici a poterci permettere, se lo vogliamo, un vestito decente. Un conto era la situazione a Londra nel '77, dove questo aspetto estetico aveva un senso perchè era vero, non poteva essere altrimenti. Un altro conto è qui, e adesso.
Comunque, io non ho mai stracciato un paio di jeans. Mi facevano un po' ridere e un po' amareggiare, tutti sti zuvnòt che compravano i jeans nuovi e poi li rompevano e scucivano perchè altrimenti non erano abbastanza punk... li ho portati anche io i jeans rotti, ma semplicemente perchè si erano consumati dopo averli usati tante volte...